Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 29 gennaio 2016

Venerdì 29 gennaio. La preghiera di Riparazione e Lettura formativa

Ricordiamo che oggi, venerdì, è il giorno dedicato alla Preghiera di Riparazione. Ecco le consuete preghiere, complete delle Litanie del Sacro Cuore, che [trovate qui].

Su Riscossa Cristiana potrete trovare alcuni avvisi [qui].

Come confermato dalla Sala Stampa vaticana, Bergoglio “ha in animo di prendere parte ad una cerimonia congiunta fra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, per commemorare il 500° anniversario della Riforma, in programma a Lund, Svezia, lunedì 31 ottobre 2016”.

Mentre ricordiamo quanto pubblicato venerdì scorso, 22 gennaio, circa il retto significato della unità dei cristiani, ben chiarito dalle parole di Pio XI nell’enciclica Mortalium animos, siamo tutti invitati a pregare per:
  • La conversione dei luterani, ora a rischio di dannazione eterna perché seguaci di una falsa religione, alla sola vera Fede cattolica
  • La conversione di Bergoglio alla sola vera Fede cattolica.
Come lettura di formazione, proponiamo questa settimana una conversazione di Padre Serafino Tognetti su “La Messa come sacrificio”, ricordando che il Sacrificio di Cristo, che si compie in modo incruento sull’altare, e la transustanziazione sono verità di Fede, pervicacemente negate dai luterani. [Vedi articolo più recente qui e indice articoli sul problema ecclesiologico del 'falso ecumenismo' qui]

La Messa come sacrificio
Trascrizione di una conversazione di p. Serafino Tognetti
Nell’Antico Testamento il culto dovuto a Dio si attua attraverso il sacrificio degli animali, ampiamente descritto nei libri dell’Esodo, del Levitico, del Deuteronomio.

In questi testi, Dio dà ordini molto precisi: nulla deve essere lasciato al caso o all’improvvisazione. Tale precisione di dettagli ci fa capire che questi sacrifici erano molto importanti. Cerchiamo di capirne il motivo.

I sacrifici che si facevano al Tempio erano composti di cinque fasi, cinque tempi:
  1. Santificazione (consacrazione) della vittima
  2. Offerta (oblazione)
  3. Uccisione (immolazione)
  4. Infiammazione
  5. Consumazione
Santificazione – L’animale che si doveva portare al Tempio per il sacrificio non era uno qualsiasi del gregge: doveva essere innanzitutto il primo parto maschio (se nasceva una femmina, veniva unita al branco: si attendeva il maschio), poi doveva essere sano, perfetto. Non si poteva offrire a Dio un animale malato: “Consacrerai al Signore tuo Dio ogni primogenito maschio che nascerà nel tuo bestiame grosso o minuto… Se l’animale ha qualche difetto, se zoppo o cieco o qualche altro difetto grave, non lo sacrificherai al Signore tuo Dio” (Dt 15, 19.21).

Perché doveva essere sano? Perché il difetto viene dal peccato, e Dio si oppone al peccato. Ovviamente l’animale non aveva colpe se nasceva zoppo o cieco, ma la mancanza di perfezione ha sempre un remoto legame col peccato originale, quindi si doveva portare a Dio una vittima il più possibile sana.
Alla nascita, l’agnello veniva separato apposta (immagino dopo lo svezzamento), non poteva essere usato per nessun altro scopo: guai a venderlo di nascosto o farne un arrosto per gli amici. Quell’animale era separato, “sacro”. Una volta portato al tempio per il sacrificio, il sacerdote lo prendeva, poneva le mani su di lui, e da quel momento nessun altro poteva più toccarlo.

Offerta – Il sacerdote faceva delle preghiere a Dio offrendo l’animale prima di sgozzarlo. Vi erano diversi tipi di sacrifici (sacrifici di comunione, sacrifici di lode, sacrifici di impetrazione e di espiazione) che adesso non analizziamo, ma è chiaro che ogni tipo di sacrificio aveva le sua preghiere specifiche, che il sacerdote recitava a Dio.

La vittima, se di piccola mole, veniva anche elevata, innalzata, come segno visibile di offerta al Cielo, a Dio, mentre le preghiere proseguivano.

Uccisione – A quel punto l’animale veniva sgozzato, ucciso. Ne viene che il Tempio doveva avere una parte che oggi chiameremmo mattatoio, macello. E non doveva essere nemmeno un’area piccola, se si legge nel libro dei Re quanto successe in occasione dell’inaugurazione del Tempio stesso: “Salomone immolò al Signore, in sacrificio, 22.000 buoi e 120.000 pecore. Così il re e tutti gli israeliti dedicarono il tempio al Signore” (1 Re, 8,62). Non so se si devono prendere questi numeri alla lettera, certo è che non so immaginare che cosa poté significare macellare 22.000 buoi in un colpo.

Infiammazione – Una volta uccisa la vittima, si cuoceva, ossia si accendeva il fuoco su di essa. Il fuoco ha sempre un effetto purificatore, è anzi figura di Dio, il quale viene chiamato, nel Deuteronomio, “fuoco divoratore” (Dt 4,24). In casi eccezionali succedeva che il fuoco veniva giù dal cielo da solo, come intervento diretto di Dio, sulla vittima. Questo successe per esempio nella famosa sfida di Elia con i profeti di Baal: Elia pregò e Dio mandò il fuoco, come dimostrazione della sua presenza e potenza.
Ma vi è un altro effetto del fuoco: fa fumo, che sale verso il cielo. Nei testi dell’Antico Testamento viene detto che Dio “respira” questo fumo, che diventa pro-fumo, un profumo di soave odore. Di buon odore perché proviene dal sacrificio che si consuma in suo onore come atto di culto. Un passo tra i tanti: “Noè edificò un altare al Signore, prese ogni sorta di animali mondo e offrì olocausti sull’altare. Il Signore odorò la soave fragranza e pensò: Non maledirò più il suolo” (Gen 8,21).

Questa unione Cielo-terra, Dio-uomo, attraverso il fumo che sale, è già un inizio di comunione tra il Creatore e la sua creatura.

Tra l’altro è bene ricordare che un grande incendio ci sarà alla fine del mondo; anzi sembra che l’atto ultimo della storia sarà proprio un immane incendio: “I cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima Parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi” (2 Pt 3,7).

Comunione – La vittima cotta veniva poi divisa in tre parti: una restava nel fuoco, ed era per Dio, una la mangiava il sacerdote con quelli della sua famiglia, una veniva data al popolo. Quella che restava nel fuoco per il Signore aveva un nome che voi ben conoscete: si chiamava “olocausto”.

Mangiare significava entrare in comunione profonda con Dio, perché anch’egli “mangiava” la sua parte, proveniente dalla stessa vittima. San Paolo userà la stessa immagine quando parlerà delle carni immolate egli idoli.

Ricordo una canzone degli alpini, “Il capitan della Compagnia”. In questo canto si narra di un soldato che sta per morire e ordina che il suo corpo, una volta morto, venga smembrato in cinque parti e mandato una al battaglione, una alla mamma, una alla fidanzata, una alla patria e una alla montagna. Certo, è solo una canzone, ma dice il desiderio di fare comunione, attraverso la propria carne, con le persone o le cose più amate.

Questo riguarda i sacrifici antichi, i quali ottenevano quel che ottenevano, ma sono importanti nel solo significato di figura, di rimando, di preparazione. Arriverà poi il tempo dell’abolizione dei sacrificio con la presenza della Vittima pura e santa: Gesù Cristo, Dio in persona.

Gesù è la vittima prefigurata, e infatti Egli compie esattamente tutte le cinque parti delle vittime-animali del tempio, in sé, e una volta per sempre. 

La santificazione avviene al momento della sua Incarnazione. Dirà il Signore di se stesso: “Se essa [la Scrittura] ha chiamato ‘dei’ coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite tu bestemmi…” (Gv 10,36). Si dice che Gesù fu consacrato. Consacrato per che cosa? Per essere vittima.

Inoltre Egli non solo è il primo figlio maschio della Vergine Maria, ma è l’Unigenito, l’unico, il santo. Egli è l’unigenito del Padre e il primogenito della Vergine Maria: perfetto per essere offerto.

Per compiere il sacrificio, Dio doveva assumere un corpo umano, come esprime in modo sublime la lettera agli Ebrei: “Entrando nel mondo Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio [di animali] né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare o Dio la tua volontà” (Eb 10,5-7). Quando si inaugurò il Tempio, abbiamo visto, furono immolati 22.000 buoi; quando arrivò Gesù nel mondo quanti buoi avrebbero dovuto essere sacrificati? Milioni e miriadi di milioni. Ma non se ne accorse nessuno, a Betlemme, se non pochi pastori avvertiti dagli angeli. Non c’era più bisogno di tanti giovenchi: ora c’era Lui, bastava Uno solo, che avrebbe, col suo Corpo, pagato per tutti compiendo l’unico vero infinito sacrificio.

Prima della morte, poi, Gesù rinnovò la sua consacrazione: “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,19).

L’offerta di Gesù inizia con la nascita e prosegue per tutta la sua vita terrena. Gesù fu in atto di continua offerta di sé, per arrivare all’offerta massima sulla croce. Nel Vangelo di Giovanni questo richiamo è continuo: Gesù non fa altro che dire di non essere venuto per compiere la sua volontà, ma la volontà del Padre. E parlando del proprio sacrificio, dice chiaramente: “Nessuno mi toglie la vita, sono io che la dono”.

L’uccisione non va dimostrata, perché tutti sanno che Gesù morì sulla croce. In Lui si realizza alla lettera quanto era prefigurato nel rito del capro che, caricato dei peccati del popolo, viene mandato a morire nel deserto (Lv 16,18-22). Nessuno poteva toccare quel capro (il famoso “capro espiatorio”), e se lo si toccava, occorreva immediatamente purificarsi. L’animale moriva fuori dall’accampamento, e Gesù fu portato a morire fuori dalle mura. Il capro è figura perfetta di Gesù: caricato di peccati non suoi, per questi peccati egli deve morire.

E l’infiammazione come avviene? Gesù non fu bruciato, né sulla croce né una volta deposto dalla croce, per cui sembra che questo punto sia mancante nel sacrificio di Cristo. Ma non è così. Che cos’è la resurrezione dai morti, se non il corpo vitalizzato dallo Spirito Santo? E cos’è lo Spirito Santo, se non il fuoco di Dio? “Come Cristo è resuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare per una vita nuova”, scrive san Paolo (Rm 6,4). Notiamo questo versetto: Gesù è resuscitato per mezzo della gloria del Padre, come se il Padre si fosse piegato su di Lui investendolo della sua gloria, che è luce, fuoco, energia, soffio che brucia. Ecco l’infiammazione, e che infiammazione! Persino gli studiosi della sacra sindone ci dicono che l’impressione sul telo fu provocata da una sorta di radiazione di luce inspiegabile con la scienza umana.

Infine la comunione. Certo, questa non avvenne con il corpo visibile del Signore, né alla deposizione né con quel corpo che gli apostoli videro per 40 giorni dopo la resurrezione. La comunione vera che si realizzò con la resurrezione fu prima di tutto quella del Figlio stesso con il Padre. Gesù portò al Padre il corpo ferito e purificato, e in questo ingresso nel seno del Padre si realizza qualcosa di nuovo, come esprime la lettera ai Romani parlando di Gesù: “Costituito figlio di Dio con potenza mediante la resurrezione dai morti” (Rm 1,4). Sembra che allora nel tornare al Padre, risorto, Gesù realizzi la una comunione per certi versi nuova. Sì, nuova, perché ora Gesù ha un corpo nuovo, che prima dell’Incarnazione non aveva, visto che viene costituito figlio di Dio mediante la resurrezione. Prima di sacrificarsi sulla croce, nell’ultima cena, Gesù prega: “E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,5). È un movimento di discesa e ascesa: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio di nuovo il mondo e torno al Padre”. Ma ora il Padre lo riceve come Vittima, ecco la differenza tra il prima e il dopo!

Qui si realizza la vera comunione, che riconcilia il genere umano a Dio, nel pentimento e nella remissione dei peccati. Questa comunione è eterna, non finirà mai. E la cosa inimmaginabile, clamorosa, inaudita, è che questa comunione tra il Figlio-Vittima e il Padre viene data gratuitamente a noi uomini! Infatti la comunione del Figlio col Padre altro non è che una persona, lo Spirito Santo, che viene effuso sugli uomini per la remissione dei peccati. Così ora io sono immerso, col battesimo, nella Giustificazione ed elevato nella vita intima di Dio.

Meraviglie delle meraviglie, stupore dello stupore. Nei confronti di questa realtà, guarire un malato o spostare l’America al posto della Cina è un gioco da bambini, una sciocchezza di cui non vale la pena occuparsi. Dio mi coinvolge e mi dà il suo Spirito, proprio nella Messa nella quale io, sacerdote, pover’uomo, offro al Padre il Figlio sacrificato. Diceva tra le lacrime don Divo Barsotti: “Dio chiede a me Se stesso!”. È come se senza di me Egli non potesse ricevere il Figlio. Ecco perché la Messa è il Sacrificio vero, perfetto, è la gloria più grande che l’uomo possa dare a Dio.

Nella Santa Messa

La Messa altro non è che il Sacrificio di Cristo ripresentato agli uomini di oggi, di ogni tempo. L’unica differenza è che il Sacrificio di Gesù sulla croce fu cruento, quello sull’altare della chiesa è incruento. Ma a parte questa differenza, avvengono le stesse cose, si ripetono tutti e cinque gli elementi. Non specifichiamo i momenti della liturgia in cui avvengono, perché sono palesi nei gesti del sacerdote: consacrazione del Pane, elevazione, Passione, invocazione dello Spirito Santo, santa Comunione. C’è tutto. Oltre non si va. Non si può andare, perché oltre l’infinito non vi è nulla. Nella Messa ci sono figure e segni: ma mentre nell’Antico Testamento quelli rimandavano a qualcosa che doveva venire, nella Messa questi realizzano la sostanza, il fatto, e lo offrono. Sono gesti pieni di verità, e nella Comunione il passaggio del Sacrificio da Dio a me avviene veramente. Non ne rimango folgorato, non cado a terra, solo perché Dio lo permette, ma dovrei morire immediatamente distrutto dal fuoco della carità divina.

Se la Bibbia è il libro della storia del mondo, allora non vi è altra vita, nella storia e nel mondo, che il Sacrificio di Cristo: prima annunciato, poi realizzato, ora vissuto. Tutto il resto, semplicemente, non esiste, è inganno del diavolo. O le cose, tutte, entrano nel Sacrificio di Cristo, o sono irrimediabilmente perdute. Si capisce allora perché san Lorenzo da Brindisi per celebrare la Messa ci impiegava più di dodici ore; iniziava alla mattina e finiva alla sera, e la mattina dopo ricominciava.

In effetti, non c’è altra vita.
Non c’è altro, se non il Sacrificio di Cristo e tutto quello che Egli salva, eleva, santifica.

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