Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 25 febbraio 2013

Andrea Sandri, Il Motu proprio nell'Arcidiocesi di Milano. Le tappe di una questione irrisolta.

Il problema affrontato nel corso di questa conferenza  ha natura principalmente, ma non soltanto, giuridica, giacché concerne la possibilità di applicare un atto del Papa esplicitamente inerente al Messale romano antico al Messale ambrosiano antico.

È innanzitutto necessario tracciare una cornice entro la quale andranno a collocarsi gli interventi di don Marino Neri e del dottor Fabio Adernò. Si può affermare che tutta la vicenda dell'applicabilità del Motu Proprio Summorum Pontificum al Messale  ambrosiano del 1959 si scandisce in tre tappe e attraverso tre documenti: lo stesso Summorum Pontificum che risale al 27 luglio 2007, il Comunicato del Vicario Episcopale per l'Evangelizzazione e i Sacramenti e Propresidente della Congregazione del Rito ambrosiano Mons. Luigi Manganini datato 24 agosto 2007, la Lettera della commissione pontificia Ecclesia Dei del 22 maggio 2009 firmata da Mons. Camille Perl, Vicepresidente della stessa Commissione.

Mi appare importante delineare, seppur compendiosamente, il contenuto di questi documenti, proprio perché gli amici del Circolo Culturale John Henry Newman ed io abbiamo individuato in questo scandirsi di prese di posizione il problema ora oggetto di questa conferenza.

Com’è noto, Motu Proprio Summorum Pontificum afferma un principio fondamentale, che il Rito antico, ossia la Messa celebrata secondo il Messale romano del 1962, è un rito libero. Libero nel senso che non è necessaria un'autorizzazione ovvero che - secondo la lettera dell'articolo 2 del Motu proprio - "...ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962 ... in qualsiasi giorno... [e che] per tale celebrazione ... il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario". Il Messale romano del 1962 è dunque di principio libero, anche se il Motu proprio introduce una serie di regole specifiche che vanno a disciplinare questa libertà. Tale principio è, a ben vedere, anticipato e proclamato dall'art. 1 che, oltre a chiarire che il Messale romano antico non è "mai stato abrogato", abroga esplicitamente il regime di indulto:  "Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato [c.m.], come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori Quattuor abhinc annos e Ecclesia Dei vengono sostituite".

Il problema sorge da un'espressione contenuta nel Motu proprio che si riferisce esplicitamente soltanto al "Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962".
A un mese di distanza dall'emanazione del Summorum Pontificum, e prima ancora della sua promulgazione che data il 14 settembre 2007, questa espressione diventa il fondamento, la ratio stessa, della lettera di Mons. Manganini e quindi del posizionamento della Curia milanese rispetto all'atto del Papa.
Mons. Manganini e la Curia milanese ci hanno spiegato che proprio perché il Motu proprio fa esplicito ed “esclusivo” riferimento al Messale romano non trova applicazione alcuna al Messale ambrosiano. In base a questo ragionamento e a questa deduzione la maggior parte dell'Arcidiocesi e i territori ambrosiani delle Diocesi confinanti sono sottratti alla vigenza del Motu proprio divenendo così l'unica evidente eccezione all'interno della Chiesa latina. Secondo la Curia e il Vicario episcopale il Motu proprio riguarda "come è ovvio, le parrocchie e le comunità di Rito Romano presenti in Diocesi" mentre "per quanto attiene il Rito Ambrosiano, l'apposita Congregazione, presieduta dall'Arcivescovo Capo Rito ... conferma le indicazioni date ad experimentum al Vicario Episcopale per la Città di Milano il 31 luglio 1985. A queste indicazioni sono tenuti i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i singoli fedeli e le comunità che celebrano secondo il Rito Ambrosiano". In altri termini si dice che se non è applicabile al Messale ambrosiano il Motu proprio Summorum Pontificum, ossia il principio della libertà del rito antico, è ancora applicabile il criterio precedente dell'indulto: possono essere celebrate Messe antiche ambrosiane soltanto e in quanto autorizzate dall'ordinario.

Il terzo documento sembra contraddire radicalmente la presa di posizione della Curia milanese. Si tratta di una lettera con cui la Commissione Pontificia Ecclesia Dei risponde a una domanda posta da un sacerdote americano, don Jeffry Moore, allora operante presso il Collegio Papio ad Ascona nella Diocesi di Lugano il cui territorio è in parte ambrosiano. A Don Jeffry che chiede alla Commissione "il conforto di un assenso che anche gli studenti ambrosiani che lo richiedono possano usufruire dei benefici garantiti dal Sommo Pontefice nel Motu Proprio Summorum Pontificum", il Vicepresidente della Commissione risponde che "mentre è vero che il Motu proprio del Santo padre non cita esplicitamente il rito ambrosiano non esclude nemmeno gli altri riti latini; se la volontà del Sommo Pontefice vale per il rito romano, considerato il superiore in dignità, di conseguenza, tanto più per gli altri riti latini, incluso il rito ambrosiano". Si sostiene dunque che ciò che è stato stabilito per un rito tradizionalmente ritenuto superiore in dignità - e non tanto per la qualità ma per l'universalità stessa che è connaturata all'essere romano - può essere applicato anche agli altri riti latini.

D'altro canto è abbastanza evidente che Mons. Camille Perl non si limita a dare una risposta secondo quelle che possono essere le proprie opinioni e convinzioni o, peggio ancora, i propri stati d'animo; infatti, a ben vedere, attraverso il responso del 22 maggio 2009 la Commissione Ecclesia Dei non fa altro che applicare e concretizzare  il generalissimo principio della analogia juris et legis positivizzato dal can. 19 CJC/1983 congiuntamente al brocardo secondo cui "cui licet quod es plus, licet utique quod es minus" (a chi è consentito ciò che è maggiore, è in ogni caso consentito ciò che è minore): di certo - sembra sostenere Mons. Perl - il  Motu proprio Summorum Pontificum si riferisce letteralmente soltanto al Rito romano nella sua forma classica, ma, poiché  quest'ultimo è il rito superiore in dignità tra i riti latini ora riconosciuto libero dal Sommo Pontefice Benedetto XVI, ciò vale, in assenza di una disciplina specifica, certamente anche per gli altri riti latini (tra i quali il Rito ambrosiano) che sono per dignità inferiori al Rito romano (licet utique quod est minus). Il responso di Mons. Perl si radica dunque nella concettualità della tradizione giuridica e si colma di una razionalità che lo sottrae alla mera polemica che pur ne è sorta.

Resta da osservare che si è scelto di parlare di "libertà ambrosiana" - e a questo punto non può rimanere celata la preferenza del Circolo Culturale John Henry Newman di fronte alle interpretazioni qui riassunte - perché, se è vero che, come ha più volte ribadito Benedetto XVI, i principii di continuità e di sviluppo omogeneo costituiscono  regole coessenziali alla vita della Chiesa, la privazione della antichità di un rito si trasforma, prima ancora che un qualsiasi giudizio sia pronunciato sulle forme liturgiche riformate, nella cattività della liturgia del presente ovvero nella separazione di una comunità dall’heri, hodie et semper della Chiesa. Se, in base a un principio generale, ha senso che sia libero il Messale antico affinché sia affermata la continuità della liturgia romana, che a sua volta è principio di libertà del rito, non si comprende come possa essere negata la libertà del Messale ambrosiano antico senza corrompere la  continuità del rito ambrosiano.

Le questioni a cui si è finora accennato presentano tratti specificamente giuridici, ma non soltanto giuridici. Storia liturgica e teologia rappresentano la sostanza di molti argomenti la cui forma è prima facie giuridica. In effetti quando Mons. Luigi Manganini afferma la non applicabilità del Summorum Pontificum al Messale ambrosiano rivendica necessariamente alla liturgia di Milano uno sviluppo autonomo rispetto a quello della liturgia della Chiesa di Roma (sviluppo autonomo che invece appare relativizzarsi nell'argomento di Mons. Camille Perl che afferma l'universalità del Rito romano rispetto agli altri Riti latini). Per potere affrontare in maniera soddisfacente il problema della "libertà ambrosiana" il Circolo Culturale J.H. Newman ha dunque creduto di dover invitare due oratori all'altezza di ogni aspetto, e così abbiamo chiesto a don Marino Neri, che è filologo presso l'Università di Pavia e profondo conoscitore di storia liturgica, di indagare i rapporti tra liturgia ambrosiana e liturgia romana, e al Dottor Fabio Adernò, che è avvocato rotale e dottore in diritto canonico presso il Pontificio Ateneo della Santa Croce di Roma, di affrontare gli ancora irrisolti snodi giuridici.

4 commenti:

Cesare Baronio ha detto...

Mi stupisco che, dopo gli innumerevoli esempi che abbiamo sotto gli occhi dal Concilio ad oggi, vi sia chi ancora crede che sia sufficiente appellarsi alla lettera della norma o a principii giuridico-canonici per far valere i propri diritti...

Si vuole capire o no che costoro - da Manganini alle centinaia di Vescovi e Parroci di tutto l'orbe cattolico - se ne infischiano sovranamente della Legge?

Guardiamo l'applicazione del Motu Proprio nelle Diocesi di Rito Romano, ad iniziare dall'Alma Urbe: nel 99% dei casi si è applicato l'Indulto di Giovanni Paolo II, destinando una chiesa alla celebrazione della Messa tridentina, mentre il Motu Proprio prevede che ogni coetus fidelium debba chiedere al proprio Parroco che gli venga data questa opportunità.

Pensate se nelle Parrocchie di Roma, o di Firenze, o di Parigi, come di qualsiasi città, si potesse avere una celebrazione della Messa tridentina...

Ovviamente questo non viene fatto, e ci si limita a creare delle specie di riserve indiane per tradizionalisti, lasciandoli confinati in luoghi separati dalla vita parrocchiale.

Il caso della Diocesi Ambrosiana, al di là delle mille ragioni che possono addurre i più esperti canonisti, è l'ennesima conferma della malafede della setta conciliare. Una setta che, come vediamo in questo caso, non conosce confini di rito...

Anonimo ha detto...

L'applicazione del motu proprio sulla messa antica è un sogno e una bella utopia, forse neanche presnete nella mente del Pontefice...ma solo in quella di chi si illuso...etc...
Basta ricordare le parole di Benedetto XVI in viaggio in Francia...."un atto di tolleranza..."
In più dove sono questi ceti di fedeli che chiedono la messa?
...con difficoltà parte dove un buon prete la propone...la difficoltà è che ormai il culto cattolico è stato distrutto e i fedeli si sono adeguati alla comoda situazione.

Anonimo ha detto...

...con difficoltà parte dove un buon prete la propone...la difficoltà è che ormai il culto cattolico è stato distrutto e i fedeli si sono adeguati alla comoda situazione.

E questo chi lo dice? Intanto gli Altari nel mondo si sono moltiplicati e continuano a moltiplicarsi col favore (e connesse vocazioni) di molti giovani.

C'è un'unico coetus fidelium, suddiviso in una miriade di piccoli (e a volte grandi) gruppi, ognuno dei quali nel tempo tende ad aumentare. Lo dico per esperienza diretta e non per buttar lì quattro cavolate come fa l'anonimo...

stfn ha detto...

stupisce che Scola,che ha trovato i ltempo per fare gli auguri del RAMADAN,non trovi ancora il tempo di smentire le p*ttanate scritte dal diabolico Manganini.Il RAMADAN vale più della liturgia?