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martedì 16 novembre 2010

Concilio e Postconcilio dalla nuova edizione di "Memorie e digressioni di un italiano cardinale" di Giacomo Biffi

Il card Giacomo Biffi è stato arcivescovo di Bologna dal 1984 al 2003. Nel 2007 pubblicò "Memorie e digressioni di un italiano cardinale" intrecciando, con l'ironia e la franchezza che gli sono note dati biografici toccanti e i fatti salienti della nostra epoca, che fanno di lui un testimone autorevole sul dipanarsi di eventi che hanno lasciato il segno, molti dei quali possono aiutarci nella nostra ricerca di verità anche scomode, che vengono bypassate o negate dalla cultura egemone che ha impregnato la nostra Chiesa.

In questi giorni esce l'edizione rinnovata e ampliata del volume, arricchita di molte riflessioni più recenti. Pubblico queste pagine tratte dal Capitolo Concilio e Postconcilio, particolarmente in tema con le nostre ricerche e riflessioni, per trarne spunti e ulteriori elementi di approfondimento.

CONCILIO E "POSTCONCILIO" (pp. 191-194)

A fare un po’ di chiarezza nella confusione che ai nostri giorni affligge la cristianità, è incombenza preliminare e ineludibile distinguere con ogni cura l’evento conciliare dal clima ecclesiale che ne è seguito. Sono due fenomeni diversi ed esigono un apprezzamento differenziato.

Paolo VI sinceramente credette nel Concilio Vaticano II e nella sua positiva rilevanza per l’intera cristianità. Ne fu un decisivo protagonista, seguendone con attenzione quotidiana i lavori e le discussioni, aiutandolo a superare le ricorrenti difficoltà dei suoi percorsi.

Egli si aspettava che, in virtù del comune impegno sia di tutti i titolari del carisma apostolico sia del successore di Pietro, un’epoca benedetta di accresciuta vitalità e di fecondità eccezionale dovesse da subito beneficare e allietare la Chiesa.

Invece il “postconcilio”, in molte sue manifestazioni, lo preoccupò e lo deluse. Allora con ammirevole schiettezza rivelò il suo accoramento; e l’appassionata lucidità delle espressioni colpì tutti i credenti; quelli almeno la cui vista non fosse troppo obnubilata dall’ideologia.

Il 29 giugno 1972, nella festa dei santi Pietro e Paolo, parlando a braccio, arriva ad affermare "di avere la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida della Chiesa… Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di buio, di ricerca, di incertezza… Crediamo in qualche cosa di preternaturale (il diavolo) venuto nel mondo per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia di aver riavuto in pienezza la conoscenza di sé". Sono parole dolenti e severe sulle quali non bisogna stancarsi di riflettere.

Come è potuto succedere che dai pronunciamenti legittimi e dai testi del Vaticano II sia derivata una stagione così diversa e lontana?

La questione è complessa e le ragioni sono multiformi; ma senza dubbio ha avuto il suo peso anche un processo (per così dire) di aberrante “distillazione”, che dal “dato” conciliare autentico e vincolante ha estratto una mentalità e una moda linguistica del tutto eterogenee. È un fenomeno che nel “postconcilio” affiora qua e là, e continua a riproporsi più o meno esplicitamente.

Potremo, per farci capire, avventurarci a indicare il procedimento schematico di tale curiosa “distillazione”.

La prima fase sta in un accostamento discriminatorio del dettato conciliare, che distingua i testi accolti e citabili da quelli inopportuni o almeno inutili, da passare sotto silenzio.

Nella seconda fase si riconosce come prezioso insegnamento del Concilio non quello in realtà formulato, ma quello che la santa assemblea ci avrebbe elargito se non fosse stata intralciata dalla presenza di molti padri retrogradi e insensibili al soffio dello Spirito.

Con la terza fase si insinua che la vera dottrina del Concilio non è quella di fatto canonicamente formulata e approvata, ma quella che sarebbe stata formulata e approvata se i padri fossero stati più illuminati, più coerenti, più coraggiosi.

Con una metodologia teologica e storica siffatta – non enunciata mai in forma così palese, ma non per questo meno implacabile – è facile immaginare il risultato che ne deriva: quello che viene in maniera quasi ossessiva addotto ed esaltato non è il Concilio che di fatto è stato celebrato, ma (per così dire) un “Concilio virtuale”; un Concilio che ha un posto non nella storia della Chiesa, ma nella storia dell’immaginazione ecclesiastica. Chi poi si azzarda pur timidamente a dissentire, è segnato col marchio infamante di “preconciliare”, quando non è addirittura annoverato coi tradizionalisti ribelli o con gli esecrati integralisti.
E poiché tra i “distillati di frodo” dal Concilio c’è anche il principio che ormai non c’è errore che possa essere più condannato entro la cattolicità a meno di peccare contro il dovere primario della comprensione e del dialogo, diventa oggi difficile, tra i teologi e i pastori, il coraggio di denunciare con vigore e con tenacia i veleni che stanno progressivamente intossicando l’innocente popolo di Dio.

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Il libro: Giacomo Biffi, "Memorie e digressioni di un italiano cardinale", nuova edizione ampliata, Cantagalli, Siena, 2010, pp. 688, euro 25,00.

2 commenti:

alino77 ha detto...

Ti ringrazio per la segnalazione di questo libro.

Lo ritengo un documento importante per questa analisi che stai conducendo.

Io, devo dire sinceramente, sento di essere stato "richiamato", o meglio, "rimproverato", quando non comprendo coloro che portano una critica (cioè analisi con senso critico e costruttivo), e che con troppa facilità taccio di "preconciliarità".

Come sinceramente ho sentito vivo questo richiamo per me e per tutti, fatto con parole comunque non giudicanti e taccianti di modernismo, devo dire altrettanto sinceramente di non averlo trovato in scritti di altri autori.

Ritengo fondamentale quindi per la mia crescita personale, leggere questo libro.

Alino77

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio per questo riscontro positivo :)

Visto che hi fatto delle osservazioni, consentimi di osservare a mia volta.

io non mi irrigidisco se qualcuno mi 'richiama' o mi 'taccia' di qualcosa, se mi accorgo che mi sta correggendo, anzi... sono grata

interrogati se non sia sintomo di un contesto molto rigido (non è la stessa cosa che rigoroso) questa estrema sensibilità al cosiddetto 'giudizio', che per me è sinonimo di 'valutazione' che può essere esatta o inesatta e non fa necessariamente parte di una situazione di 'processo'